Senza Tommaso Buscetta oggi non sapremmo che cos’è Cosa Nostra. Con la sua dissociazione - non chiamatela "pentimento" - ha accettato di disegnare l’anatomia dell’organizzazione criminale, fino ad allora (siamo all’inizio degli anni Ottanta) rimasta segreta. Il Traditore è il fedele racconto dello sconquasso provocato nella società mafiosa dalle parole di Buscetta: i morti ammazzati, gli insulti in aula, la promessa di morte. Pierfrancesco Favino replica gestualità , toni e pose del più importante collaboratore di giustizia della storia d’Italia: il modo in cui formulava le parole, il carisma che filtrava anche dietro le lenti degli occhiali da sole, la sua personale forma di fedeltà alla causa mafiosa. Anche il rischio "agiografia" è evitato: dopo circa due ore in cui il protagonista sembra ergersi al di sopra di tutti, basta l’arringa dell’avvocato Coppi (interpretato da Bebo Storti) durante il processo Andreotti, per ridimensionarne lo spessore morale e rendere, in pochi minuti, ciò che era il dibattito di quegli anni sul fenomeno del pentitismo. Il Tommaso Buscetta di Marco Bellocchio non è mai eroico. Fino alla fine, resta un soldato di Cosa Nostra. Ha deciso di collaborare con Giovanni Falcone (e non con altri) solo allo scopo di colpire Totò Riina, colpevole di aver portato allo sfacelo Cosa Nostra dal momento in cui ha cominciato «ad ammazzare persone innocenti». Il Traditore ha solo una pecca, non da poco: non riesce a spiegare allo spettatore perché questa storia sia così importante oggi. Non fosse un'opera di Marco Bellocchio, questo chiarimento non sarebbe così necessario; ma un film che porta la firma di uno dei pochi autori ancora dotati di uno sguardo "politico" richiede un punto di vista chiaro. A sua discolpa, va detto che gli anni Novanta sono una materia difficile: lontanissimi per i ventenni; ancora irrisolti per chi ha vissuto la caduta della Prima repubblica; vivissimi nei ricordi e nelle sensazioni di chi li ha attraversati in gioventù, visto l’interminabile riverbero che hanno avuto nella storia d’Italia. A differenza di un film come Buongiorno notte, capace di trasformare l’epoca storica in cui è immerso in un simbolo universale, Il Traditore resta a tratti imbrigliato nella cronaca. Marco Bellocchio dà il meglio di sé, invece, nelle sequenze dedicate al Maxiprocesso che porterà alla decapitazione della Cupola di Cosa Nostra. Il regista trasforma i boss in animali in gabbia, pieni di collera e livore tanto da non sembrare nemmeno uomini. L’aula bunker dell’Ucciardone si trasforma in un palcoscenico come estrema strategia difensiva: ogni colpo di scena è funzionale a ritardare l’inevitabile condanna, ogni gesto inconsulto a dimostrare la mancanza di cultura e di intelligenza degli uomini accusati di manovrare un’organizzazione tanto complessa. Quest’operazione riesce molto bene, anche per merito degli attori. Con Pierfrancesco Favino spicca soprattutto Luigi Lo Cascio, che interpreta Salvatore Contorno, il primo a confermare le parole di Buscetta. Due facce della collaborazione. Sia Contorno sia Buscetta hanno perso tutto a causa di Riina: la famiglia, gli amici, uno scopo. Contorno dopo la collaborazione vuole altro sangue, come insegna la tradizione mafiosa. Buscetta vuole solo «morire nel suo letto». Ma provare dei sentimenti e avere dei desideri per sé rappresentano il più alto tradimento all’organizzazione.