Da Ultrà (1990) di Ricky Tognazzi a L'ultimo ultras (2009) di Stefano Calvagna, diverse sono state le produzioni cinematografiche incentrate sugli individui che, spesso violenti, infuocano le curve degli stadi durante le partite di calcio. L’esordio registico del trentottenne milanese Fabio Bastianello, però, a differenza dei titoli citati, non affronta il tema attraverso un classico racconto di finzione, ma ricorre ad un pianosequenza di circa 105 minuti che, preparato in un anno e girato nel corso di un solo giorno, rappresenta la soggettiva di un poliziotto infiltrato in una curva dello stadio Olimpico di Torino per svolgere un’indagine a carico di un gruppo di tifosi. Tra cori da stadio e linguaggio non poco scurrile, un’opera di taglio documentaristico incentrata sul realismo e l’immedesimazione, con l’occhio del protagonista che si fa spettatore, immerso tra circa 100 veri ultras e un cast comprendente Beppe Convertini, L’ex vj di All Music Yan Agusto, la showgirl Lisa Dalla Via e il cabarettista Bruce Ketta. Con la macchina da presa sempre in movimento e sottotitoli che intervengono quando l’audio, nel fracasso generale risulta poco comprensibile, Secondo tempo è il crudo ritratto della violenza scatenatasi durante una partita di calcio a causa di un errore arbitrale allo scadere del secondo tempo - con tanto di immancabili scontri che vedono coinvolta anche la polizia. Un’opera(zione) illuminata efficacemente dalla fotografia di Luca Coassin e commentata dalla colonna sonora di Davide De Marinis (presente anche tra gli attori), la quale si alterna tra pezzi rockeggianti e più tranquille suonate al piano nel generale clima da effetto reality. Effetto reality al servizio di un interessante esperimento non privo di tensione e che, riuscendo nella voluta impresa di stordire lo spettatore, trova la migliore critica proprio nelle parole dello stesso regista: «Il mio intento è semplicemente quello di riportare fedelmente quanto accade nelle curve degli stadi italiani, raccontando di una giornata tipo che si trasforma in un evento eccezionale. Il film è un prodotto inusuale, inconsueto rispetto ai canoni cinematografici a cui siamo abituati. È  proprio nella diversità che sta la sua forza. Si potrebbe quasi definire brutto, nel senso che non rispetta le classiche regole della cinematografia, specialmente quella italiana. Le scelte dell’unico pianosequenza e del cast composto anche da veri ultras sono fattori che concorrono a creare un risultato bordeline, una via di mezzo tra il documentario e il lungometraggio. Il fatto che la Censura abbia deciso di vietarlo ai minori significa che abbiamo fatto un buon lavoro e raggiunto il nostro scopo di fornire una visione il più possibile realistica di quanto può succedere all’interno di una curva».