Trovato da un frate francescano davanti alla soglia del convento, eretto dopo la fine della guerra che vide schierati i francesi da una parte e gli spagnoli dall'altra, Marcellino cresce nell'affetto di un gruppo di dodici devoti che hanno sposato la povertà in virtù della ricchezza interiore. Come tutti i bambini della sua età trascorre il suo tempo giocando, sia fuori che dentro le mura del convento. Oltre a manifestare una vivacità irrefrenabile si dimostra curioso nei confronti della vita, tanto che non accetta di buon grado l'imposizione di alcune regole comportamentali. Sgridato più volte, decide un giorno di contravvenire alla richiesta di Fra Pappina e si fionda in soffitta. Lì trova un crocifisso al quale si lega particolarmente: momento che sancisce il rapporto confidenziale tra il bambino e l'uomo sulla croce. Marcellino ha oltretutto un grande rammarico: non aver potuto conoscere sua madre. Ed è proprio in quella soffitta dimenticata e invalicabile, con la commozione dei frati, che il suo più grande desiderio verrà infine esaudito. Nel viso rotondo che incornicia lo sguardo innocente di Pablito Calvo si delineano i contorni di un bianco e nero d'altri tempi, sintesi perfetta di un cinema del dopoguerra miracolato da un equilibrio tematico-formale appropriato. Il film si esprime attraverso piccoli gesti spontanei: un abbraccio, il rimbocco delle coperte, il primo piano sulle mani di Gesù che spezza il pane o ancora lo sguardo di Marcellino rivolto verso la cinepresa; talvolta incoraggiati da una sceneggiatura che imprime con le immagini, anziché descrivere con le parole, una realtà fondata su privazioni. Una storia insieme comica e commuovente, che sprigiona una forza intimo-espressiva fuori dal comune, incoraggiata dal soave tema musicale di Pablo Sorozabal. Si dice che tutte le paure racchiudano in fondo una sola paura: quella della morte. In Marcellino non si annidano emozioni estreme, poiché la visione del mondo è impropria, come quello di un infante. Ecco spiegato il motivo per cui gli spettatori tendano a rivalutare il film (spesso negativamente), mettendo in discussione la morale, una volta raggiunta l'età adulta: hanno perso quel legame spirituale che li teneva aggrappati all'ignoto, all'opposto della conoscenza e quindi non sono più nelle condizioni di immaginare oltre il tangibile, avendo maturato molteplici punti di riferimento. Marcellino pane e vino andrebbe riconsiderato anche al di fuori di una visione cattolica - la morte è un tema universale che accomuna tutte le religioni del mondo, così come la perdita dei genitori, la solitudine e l'affidamento. Con tutta probabilità Ladislao Vajda non si accorse dell'enorme potenziale della pellicola durante la produzione, certo è che divenne il film spagnolo più popolare al mondo (undici milioni furono gli italiani che lo videro nel 1955), successo che contribuì alla definizione permanente di classico popolare.