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Che, el guerrillero heroico

25/07/2017 14:12

Giuseppe Salvo

Approfondimento Film,

A quarant'anni dalla Rivoluzione Cubana esce il dittico di Soderbergh dedicato al più grande rivoluzionario di tutti i tempi

Silenzio in Sala vuole essere un raccoglitore di idee, da diffondere e far circolare, mutare, se necessario, nel suo viaggio. Questo spazio editoriale è il veicolo, che permette a noi della redazione di condividere i nostri pensieri, le nostre teorie, o semplicemente dei punti di vista su quanto il mondo cinematografico e multimediale consegna ai nostri sguardi attenti. Mi piace pensare che sia quantomeno emblematica la genesi del nostro sito e la sua contemporaneità con l’uscita nelle sale del capolavoro di Steven Soderbergh sul Che, nel significato che questo ricopre. C’è un segmento della vita di ognuno di noi nel quale, prede di un’irrefrenabile fame di anticonformismo mai totalmente consapevole, affidiamo le nostre piccole e grandi rivoluzioni a personaggi esemplari, leggendari, vividi fuochi nella storia, e agli ideali che essi incarnano. Attraverso loro abbiamo gridato il rifiuto delle regole, delle ingiustizie, e delle vessazioni, circoscritte ai furori delle età o alle frustrazioni sociali, alle schiavitù mentali cui ci sentiamo, prima o dopo, assoggettati. Allora, il sentimento di familiarità, di comunione verso quegli eroi nutriti della stessa polvere desertica che ogni giorno mastichiamo, non è poi così difficile da spiegare.


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Anfibi militari, occhi brucianti di nero, e un sigaro ardente. Elementi che da soli basterebbero a delineare la figura di Ernesto ‘Che’ Guevara, “el guerrillero heroico”, il più grande rivoluzionario di tutti i tempi, simbolo immarcescibile di libertà per le generazioni testimoni della sua parabola, e per le moltitudini a venire. L’inflazione dell’immagine del Che, l’iconoclastia scimmiottante e selvaggia che essa ha subito, non è andata purtroppo di pari passo alla sua fama, alla conoscenza delle gesta che ne hanno fatto un emblema della storia sudamericana e mondiale contemporanea.


Tutti conoscono il suo volto, il basco a raccogliere le idee, e la speranza a infuocargli l’iride; pochi sanno però dell’asma, dei continui acciacchi che questa gli provocava, e che nonostante le frequenti soste nelle giungle cubane a tossire, quasi a soffocare, riuscì a condurre un popolo di contadini a riconquistare la terra d’appartenenza. L’epilogo rivelatore della sua vita, l’aura cristologica del cadavere, fotografato impietosamente e posto alla mercé dei suoi carnefici, sono noti. La curiosità per l’eccezionale è facile da stuzzicare, quella per la storia soffre di una cronica narcolessia.


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Steven Soderbergh, nel dittico dedicato al revolucionario, dà l’abbrivio al proprio racconto partendo da quei dettagli distintivi, da quegli elementi immediatamente riconoscibili, ponendoli però come punto di avvio – non d’arrivo – dell’esplorazione di un uomo straordinario, “compiuto” avrebbe detto Ben Bella. Che - L’argentino, ripercorre le tappe della rivoluzione cubana, dal primo storico incontro fra Ernesto e Fidel Castro, allo sbarco a Cuba, fino alla conquista della Sierra Maestra e alla caduta di Santa Clara per mano del movimento rivoluzionario “26 Luglio”. L’abbraccio entro cui è avvolta la narrazione, che si avvia e si accomiata a casa di Maria Antonia a Città Del Messico, con l’incontro di Ernesto e Fidel illuminati da un intimo focolare di idee, dà il senso di una prospettiva irrazionale ma irremovibile, scritta e circoscritta con inchiostro indelebile.


Nel mezzo Steven Soderbergh stende un affresco corale: segue il cammino dei ribelli dallo sbarco fino alle guerriglie di Santa Clara, avverte l’importanza di far dialogare con queste immagini i flashforward che ritraggono il Che alle Nazioni Unite a proclamare («O Patria, o morte!», e a esporre la sua idiosincrasia nei confronti dell’imperialismo statunitense assoggettante, iniquo, contro il quale battersi sempre, fino alla vittoria. In Che - Guerriglia quell’abbraccio sembra sfaldarsi, mutare in un irrigidimento articolare, nel pallido sentore di una disfatta annunciata nelle terre boliviane, se quella vittoria sembra spodestata dal groppo torbido e amaro di una rovinosa sconfitta, è soltanto il fulgido e rabbioso sentimento di un'inappagata giustizia, che vorremmo intoccabile.


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L’ascesa e la rovinosa caduta per raccontare e diffondere cinematograficamente – e quindi, si spera, largamente – le imprese più significative del Che. La fedeltà cronachistica, coerente, esploratrice, danno alla pellicola vita, sudore che scorre nella tensione della guerriglia, nel fermento di impugnare un’arma, nella passione dei pochi a sacrificare la pelle per un popolo; lo stesso sentimento che contraddistinse Guevara in vita, il suo amore per l’umanità, per la giustizia e la verità. Il miracolo di cui si fa portatore Benicio Del Toro è di accendere – come un sigaro, o un mortaio – le tracce di una personalità disposta a schierarsi dalla parte dei deboli, per portare tra loro la speranza, l’istruzione, il diritto alla vita e alla libertà, nei sentieri mangroviani che condussero Cuba a disfarsi della stretta totalitaria e oscurantista di Fulgencio Batista, e che trascinarono il "comandante" alla crocifissione in Bolivia.


«Io starò con il popolo, e lo so, perché lo vedo impresso nella notte, che io, eclettico selezionatore di dottrina e psicanalista di dogmi, urlando come un ossesso, assalterò barricate o trincee, tingerò di sangue la mia arma e, come impazzito, sgozzerò ogni nemico che mi si parerà davanti». L’azione rivoluzionaria guerrigliera come unico mezzo di liberazione dei popoli oppressi, fu il suo credo; l’amore e il rispetto per l’uomo la sua forza sconfinata. Chi, guardando la sua immobile salma senza respiro, fissando quello sguardo gelido ma imperituro, nella notte oscura non avvertirà un grido ardente, un fuoco a diradare le ombre? Chi, al solo sentire il suo nome pronunciato, potrà dire che Ernesto Guevara De La Serna avrà perduto la sua battaglia? Nessuno. Spetta a noi adesso vincere le nostre.


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