Questi giorni di lockdown ci danno l'occasione per riscoprire uno dei pilastri del cinema di genere italiano, il postatomico: che cos'è e quali sono i cult che lo hanno ispirato
Quando questa pandemia è iniziata, quando ci hanno detto che tutto il nostro paese sarebbe stato "zona rossa" e che avremmo dovuto rimanere nelle nostre case per evitare il contagio, sono scattati subito i parallelismi con i film sull'argomento. Pellicole che raccontavano, in modo più o meno accurato, ciò che stava accadendo: l'inizio di una pandemia e il rapido propagarsi di un virus nella società civilizzata del XXI secolo.
Contagion di Steven Soderbergh è stato quasi premonitore (è del 2011), ma ci sono molti altri di titoli che, a modo loro, hanno raccontato avvenimenti simili: da Virus letale a L'ombra dello scorpione di Stephen King (sia il libro che la miniserie tv si basano sull'idea che l'umanità venga decimata da un raffreddore!) fino a La città verrà distrutta all'alba e Cabin Fever. Si trattava di un cinema basato su battute a effetto, attori che erano caratteristi nati e improvvisi eccessi di violenza. Così abbiamo dato origine a interi sottogeneri come il poliziottesco, l'horror (in parte basato su sequel truffaldini e apocrifi, in parte caratterizzato dalla scelta di alzare notevolmente l'asticella di splatter e violenza), il giallo all'italiana, i thriller (erotici e non), i film bellici e quello che indubbiamente è il nostro filone più famoso: lo spaghetti-western. Ovvio, le produzioni non si sono limitate solo a questo, abbiamo fatto incursioni anche nel fantasy e nella fantascienza - interessante è tutto il filone a tema cyborg - ma essendo generi più ricchi non siamo mai stati in grado di farli "nostri" (anche se qua e là si possono trovare alcuni esponenti degni di nota).
E poi ci sono i postatomici, in cui una catastrofe nucleare ha rispedito l'umanità intera a un livello di civiltà quasi medioevale, anche se con "innesti" di modernità come auto, motociclette e armi da fuoco. Dove i beni più preziosi sono acqua e benzina. L'esponente più illustre è la saga di Mad Max di George Miller. Ed è proprio questo scenario, proveniente da Oltreoceano, che ha ispirato un filone bellissimo e squisitamente nostrano, che attinge senza pudore a questa e a molte altre pellicole di successo che sono arrivate sui nostri schermi a cavallo tra gli anni '70 e '80.
È il postatomico italiano.
Il cinema "artigiano" made in Italy
Il cinema di genere italiano non è mai stato ricco. I ritmi imposti dalle produzioni erano frettolosi: si doveva cavalcare l'onda di successo del film hollywoodiano del momento, prima che la gente si annoiasse, e così le pellicole dovevano arrivare in sala nel minor tempo possibile. In più i budget erano spesso striminziti, quindi non si poteva pensare a grossi "impianti visivi" o effetti speciali accurati, dati i tempi ristretti e i soldi risicati. Eppure ce la siamo sempre cavata egregiamente grazie alla nostra capacità di arrabattarci. I registi di quel genere sono stati in grado di fare del "cinema artigiano" una scuola di pensiero, diventando esempi imitati in tutto il mondo. Non è un mistero che filmaker del calibro di Quentin Tarantino, Joe Dante, Sam Raimi, Robert Rodriguez o Eli Roth abbiano tratto dal cinema di genere italiano molta della linfa che scorre nei loro film. Le pellicole in cui ci siamo distinti - e ne abbiamo sfornato centinaia! - non richiedevano un grosso budget, ma riuscivano a sfruttare location naturali e costumi ricavati con pochi spicci.
Tra il settembre del 1979 e l'agosto del 1982, arrivarono nelle sale italiane I guerrieri della notte, Interceptor, 1997: Fuga da new York e Interceptor - Il guerriero della strada. Se a questi si somma anche Rollerball, uscito nel 1975, abbiamo i cinque i pilastri su cui si basa l'intera produzione post-atomica italiana.
D'altra parte era quasi scontato: tutti i film qui sopra citati avevano in comune molti elementi che facevano gola ai produttori nostrani. Numero uno: avevano avuto un ottimo ricavo al botteghino ed erano piaciuti tantissimo al pubblico, al punto da entrare a far parte della cultura pop dell'epoca. Numero due: le ambientazioni erano ultra low-budget: periferie urbane notturne, complessi industriali abbandonati, paesaggi desertici. A livello di scenografia non ci si doveva inventare nulla. Numero tre: per i costumi bastava un po' di pelle, qualche gilet indossato a torso nudo, al massimo delle divise "futuristiche" per i cattivi e il gioco era fatto. Numero quattro: c'era un filo rosso nascosto tra le varie pellicole sopra citate: l'atmosfera da wester moderno di cui erano impregnate. Racconti di pistoleri solitari o bande di malviventi trasposti in una distopia urbana futuristica. D'altra parte, come dicevamo sopra, lo spaghetti-western era il genere che ci era sempre venuto meglio e tratti simili sono facilmente rintracciabili anche in molti poliziotteschi, gialli e horror (uno su tutti è il concetto del giustiziere solitario). Di fatto il postatomico rappresentava un'ottima scusa per raccontare le stesse storie, ma con un linguaggio più moderno. Perciò era quasi naturale che registi e produttori dell'epoca si appropriassero di questo genere.
Impastando le storie, mischiando i cliché, frullando gli archetipi e dando vita a qualcosa che, sebbene derivato, conserva comunque uno spirito autentico, originalissimo e fieramente italiano! Nel 1982 arrivò in sala il primo esponente di questo glorioso sottogenere: 1990: I guerrieri del Bronx (notate quanta furbizia in un solo titolo?) a opera del maestro Enzo G. Castellari. Inutile dire che il film fu un successo e fece da apripista a un boom di pellicole che approdarono sullo schermo nel giro di pochissimi anni. Un filone che fiorì e si estinse in meno di un decennio, sfornando però almeno una ventina di film riconducibili a questo genere, tra cui intere trilogie e saghe. Altro che Marvel Cinematic Universe!