The Fantastic è un cortometraggio che dà voce agli esuli della Corea del Nord, attraverso i film visti nella loro vita
Se è rimasto ancora un luogo al di fuori del cosiddetto villaggio globale, quello è la Corea del Nord. Qualcuno una volta lo ha definito «il posto dove i nazisti incontrano Disneyland», evidenziando come l'aspetto militaresco conviva con quello infantile e anche ridicolo - ma in modo grottesco - agli occhi di noi occidentali. La penuria di informazioni e soprattutto di immagini (anche se negli ultimi anni sono cresciute) ha fatto di Pyonyang la capitale più carica di esotismi del pianeta; ecco allora che girare un film su un paese così inesplorato e misterioso, diventa impresa tanto difficile quanto allettante. E in un momento in cui il cinema distopico sta vivendo una seconda giovinezza, Pyongyang rappresenta una distopia già bella e pronta.
Isolata, arretrata e priva di accesso ad internet, la gioventù nordcoreana scoprì il cinema straniero solo negli anni '90, e lo scoprì in modo bizzarro: paesi come Inghilterra e Francia pagavano la Corea per smaltire i propri rifiuti e fu proprio da lì che le videocassette vennero trafugate e poi diffuse illegalmente.
The Fantastic ricostruisce, con le voci di esuli ormai residenti in Corea del Sud, ricordi della loro vita attraverso i film visti.
«Sai dirmi il titolo di un film con cui hai immaginato la tua vita all'estero?» è una delle domande. «Ho sposato un gangster», risponde una di loro. Perchè «il film era la realtà», sia che ci fosse sullo schermo Rambo, Bruce Lee o James Bond. La regista Maija Blåfield raggira l'ostacolo delle riprese e trova la formula vincente girando due volte: filma in Corea del Nord e poi registra l'audio in quella del Sud, aggiungendo nel montaggio le parti di animazione. Si tratta di effetti visivi che si mescolano alle riprese del quotidiano: un bosco o una spiaggia sotto la neve, dei casermoni tutti uguali, dei rari passanti; ed ecco che l'immagine si anima e la sagoma del Ryogyong Hotel viene fatta decollare e lanciata nello spazio (una sequenza che sembra omaggiare Still life di Jia Zhangke, Leone d'oro nel 2006).
Quello che ne esce è un documentario fantastico, unico nel genere: la realtà coreana sembra un film di fantascienza nel quale, come in un gioco di specchi, il cinema rappresenta l'unico contatto (clandestino) con la nostra, di realtà.
E se l'intervistato ricorda il film Matrix come possibile immagine della realtà, a sua volta lui ci ricorda in modo inquietante il replicante all'inizio di Blade Runner (ma per loro eravamo noi gli «alieni molto alti e con il naso affilato»). The Fantastic è un lavoro ibrido che, sebbene fatichi un po' a tenere incollate le due parti audio e video, è comunque coerente con i suoi contenuti e finisce, nella forma, per sconfinare anche nella videoarte. Documentario di sicuro interesse, è anche esperienza emotiva con quel fondo amaro del cinema che tocca il “fantastico”. Prima del nero, le parole del filosofo Cvetan Todorov illuminano il senso del titolo e dell'intero cortometraggio: il fantastico è quel lasso di tempo durante il quale non sappiamo ancora se ciò che abbiamo visto è reale oppure no. Ventisette minuti, in questo caso.