Al suo secondo lavoro per il grande schermo, dopo l'esordio nel "lontano" 1999 col poco riuscito Inganni pericolosi, il regista inglese Matthew Warchus ha sorpreso un po' tutti con Pride: apprezzato calorosamente dalla critica, il film ha vinto allo scorso Festival di Cannes la Queer Palm, premio attivo dal 2010 assegnato alla miglior pellicola a tematica LGBT. Un racconto corale, tratto da una storia vera, che ha avuto risonanza globale negli anni '80 quando a Londra un gruppo di attivisti gay raccolse fondi per sostenere la lotta dei minatori contro le politiche vessatorie di Margaret Thatcher.
In occasione del Pride di Londra del 1984 il giovane attivista gay Mark Ashton (Ben Schnetzer) decide di raccogliere fondi per il movimento dei minatori, fondando il gruppo "Lesbians and gays support the Miners". L'idea, che si propone di creare un legame di solidarietà sociale tra due categorie notoriamente vittime del sistema, non ha immediatamente successo. Le cose sembrano però destinate a cambiare quando Mark e i suoi amici contattano i lavoratori di un paesino del sud del Galles, trovando con gli abitanti del luogo, dopo un'iniziale diffidenza, una solida sintonia che si trasforma ben presto in una sincera amicizia. Tutto sembra procedere di bene in meglio, ma quando viene organizzato un grande concerto di beneficenza, il sindacato dei minatori (avvisato da un'attivista omofoba) decide di mettere al voto la collaborazione con il LGSM.
Pride è un film prezioso che sfrutta con rispetto la forza delle idee e di una pagina di storia sconosciuta ai più. Matthew Warchus è bravissimo nel non scendere nella facile retorica, evitando patetismi di sorta e concentrandosi magnificamente sulla nascita dei rapporti umani e sulla lenta disgregazione dei pregiudizi. L'accettazione del diverso viene raccontata in maniera genuina cogliendo sfumature caratteriali non banali: dalla nascita di quest'improbabile ma sincera amicizia a una visione popolare che cattura magneticamente, sfruttando la lotta di classe e il rispetto dei diritti elementari dell'uomo e/o lavoratore in stile magnetico e accattivante. Senza cadute di tono, il regista dosa al meglio il perfetto mix di commedia e dramma, appassionando per tutte le due ore di visione. Non mancano naturalmente cliché e stereotipi, ma grazie anche all'implacabile gestione del ritmo e a una sceneggiatura di ferro - nata per catturare il grande pubblico ma capace di attirare anche sguardi più raffinati (impresa che spesso non riesce a due grandi autori del "filone" come Mike Leigh e Ken Loach) la storia brilla di luce propria. Dalle riuscite scene canore (dagli inni dei minatori fino a quelli nati anni prima per promulgare i diritti della donna) alla certosina cura nella caratterizzazioni dei personaggi - interpretati da un ottimo cast di volti giovani e freschi, con la partecipazione di due signor attori come Imelda Staunton e Bill Nighy - il film scorre con una forza primigenia capace di appassionare anche chi non si è mai sentito troppo coinvolto nell'argomento.