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La bocca del Lupo

15/02/2010 12:00

Angelica Tosoni

Recensione Film,

La bocca del Lupo

La bocca del Lupo nasce dall’incontro tra la “Fondazione San Marcellino”, gestita dai Gesuiti di Genova che da anni si occupa di chi vive nello stento e nella p

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La bocca del Lupo nasce dall’incontro tra la “Fondazione San Marcellino”, gestita dai Gesuiti di Genova che da anni si occupa di chi vive nello stento e nella povertà, ai margini del capoluogo ligure, e Pietro Marcello. Il giovane regista ha realizzato nel 2007 il documentario Il passaggio della linea vincitore del Premio Pasinetti nella sezione “Orizzonti” della 64ma Edizione Della Mostra Del Cinema di Venezia. «L’intento era di raccontare non tanto l’attività della Fondazione quanto il mondo a cui questa si rivolge, le persone e la città».


Un uomo torna a casa a ripercorrere i luoghi del suo passato a Genova. Enzo ha scontato la sua pena: tra vicoli e viuzze della città vecchia, l’uomo racconta se stesso e la sua vita. Torna da Mary che lo aspetta da anni; si sono conosciuti dietro le sbarre e non si sono più lasciati, si amano da vent’anni. Hanno un sogno: un casa sopra la città e sopra il mare.


Raramente si può affermare che una pellicola italiana non sia fatta prevalentemente di parole. La bocca del Lupo è essenzialmente uno sguardo. Il film di Pietro Marcello è un documentario, ma non esplora e non seziona chirurgicamente: il filo narrativo è da ricercare nella poesia del vedere. La cinepresa indaga i volti e le strade della Genova di oggi, mentre voci fuori campo raccontano in un dialogo estemporaneo una vicenda amorosa e sofferente. Per quasi l’intera durata del film esiste uno sfasamento temporale e spaziale tra commento e immagini, soltanto a ridosso della fine c’è una ricomposizione netta. In quell’istante è il presente, il tempo dell’adesso che entra in scena. Ma la città diviene anche ieri; i filmati di repertorio e il bianco e nero riconducono le immagini nella storia e nella nostalgia del tempo che fu. Il filtro dell’intreccio è quasi assente, o meglio risiede unicamente nella testimonianza e non nella narrazione. Un uomo si muove tra i caruggi degradati di Sottoripa e lo spettatore insieme al regista entra nel ghetto genovese con rispetto e pudicizia. La scelta registica e documentaristica di Pietro Marcello non è antropologica o giornalistica, ma profondamente umanista. Luoghi e persone si intrecciano e si raccontano da se stessi senza essere costretti alle righe di una sceneggiatura. Non è semplice la fruizione de La bocca del Lupo, l’intrattenimento spettacolare inesistente, e la realtà è ardua e per nulla seducente. Il disagio di chi vive ai margini non richiede sovrastrutture e Marcello non cerca di piegare mai la verità a suo piacimento. Uno sguardo, appunto, che sa vedere e che non cerca di affascinare se non con l’autenticità.


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