Per prendere le distanze da un ex compagno aggressivo, Greta (Lauren Cohan) accetta un lavoro come tata in un’antica magione che appartiene agli Heelshire. L’anziana coppia, infatti, ha bisogno di qualcuno che si prenda cura del piccolo Brahms, il loro bambino di 8 anni. Il lavoro di Greta si rivelerà più difficile del previsto quando la ragazza scoprirà che Brahms non è altro che un bambolotto di porcellana a grandezza naturale che non deve essere assolutamente trascurato. È sotto gli occhi di tutti che, negli ultimi anni, autori e registi horror stiano portando avanti un’operazione di recupero dei vari filoni caratteristici del genere: uno fra questi è sicuramente il ruolo della bambola “à la Chucky” (come dimenticare La Bambola Assassina?), consumato e sepolto da decenni sotto macerie di storie e di formule trite e ritrite ma, in seguito, rielaborato da James Wan come leitmotiv del suo cinema. A partire da quell’esordio imperfetto ma fulminante che fu Dead Silence e, ancora, in Saw - L’enigmista come anche nel recente The Conjuring: come se non bastasse, proprio a quest’ultimo è seguito uno spin off tutto incentrato sulla bambola posseduta di nome Annabelle. È forse sulla scia di Wan che Brent-Bell rispolvera la sua bambola, che ha comunque poco da spartire con il pupazzo demoniaco dei predecessori. Brahms, difatti, non sfoggia nessun ghigno osceno sulla sua faccia e i suoi lineamenti delicati permettono al regista di giocare sulla somiglianza fra quel bambino di porcellana e quello, in carne, che appare nel ritratto della grande magione inglese, e che non sembra poi tanto differire dall’esanime fantoccio. Nonostante le negative premesse date da una formula riciclata innumerevoli volte, The Boy riesce a instillare un dubbio sincero nella mente dello spettatore, che non potrà sicuramente non avvertire un certo timore ogni volta che Brahms incrocerà il proprio sguardo (casuale o meno) con il suo: questo dubbio riguarda non solo le origini del protagonista silenzioso e – apparentemente - immobile, ma principalmente l’impossibilità di comprendere se egli sia o meno vivo. Se in Chucky e nel sovracitato Annabelle, difatti, il pupazzo ha già le sembianze di un essere maligno che, nonostante la poca scaltrezza di protagonisti distratti, appare da subito ostile, il “ragazzo” di Brent-Bell non svela mai concretamente intenzioni malvagie, bensì si avvale del proprio aspetto terribilmente umano per inoculare l’ambiguità della sua natura e sollevare incertezze una dopo l’altra. Il gioco, dal ritmo thriller, funziona perfettamente fintanto che lo script non comincia a sfaldarsi in una seconda parte piena di lacune e domande irrisolte. Il film segue, così, un andamento parabolico: se in un primo momento poteva farsi forte della propria componente thriller, delle proprie atmosfere sinistre che contribuivano ad accrescere le domande e l’incertezza che aleggiano attorno alla bambola, Bell delude proprio quando i nodi dovrebbero venire al pettine e la soluzione dell’enigma viene affidata a un plot twist tanto poco efficace quanto poco credibile sotto ogni aspetto. Insomma, più che l’insieme di clichés (sebbene ve ne siano indubbiamente di consistenti), a rendere The Boy una delusione è la sua progressiva perdita, sul piano diegetico quanto registico, di soluzioni terrificanti: la sua inarrestabile disgregazione prosegue verso mille direzioni che dissuadono dal focus principale e che lasciano ben più d’una domanda. Senza più, ormai, alcun brivido.