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Last Flag Flying

30/10/2017 12:00

Federica Cremonini

Recensione Film,

Last Flag Flying

Il ritorno di Linklater al racconto generazionale

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Larry è un veterano del Vietnam, sopravvissuto alla morte del suo unico figlio di 21 anni, ucciso a sangue freddo durante una spedizione in Iraq. Intraprenderà un viaggio per seppellirlo in compagnia di due vecchi amici, Sal e Mueller, che servirono insieme a lui nella guerra in Vietnam e che si reincontrano dopo trent'anni.


Il nostalgico ritorno a quegli anni di cotonature improbabili, scintillanti discoball e collegiali americani in cerca di "qualcosa" in quel meraviglioso eighties-revival che era Tutti vogliono qualcosa soprattutto la cristallizzazione, più che di un'epoca, di un certo periodo della vita in cui si subisce il passaggio da adolescenza a maturità. Il college era la perfetta allegoria di un cambiamento che giunge per tutti, reso ancor più repentino dalla scelta di inserire le vicende dei protagonisti nell'arco di un weekend (quello che precede l'inizio delle lezioni e dell’adulthood). Richard Linklater fa il suo atteso ritorno con un'opera molto diversa dalla precedente, ma che allo stesso modo si incastra in un periodo di sconvolgimenti. Cambiamenti non più condivisi in un'intimità collettiva bensì su scala globale. L’anno è quello dell'attacco alle Torri Gemelle; è l'anno dei leader politici statunitensi che si contendono la fiducia di un popolo agghiacciato; è l'anno dei telefoni cellulari, dei primi irreversibili effetti della globalizzazione.


Non si torna più indietro. Larry non può tornare indietro e impedire a suo figlio di partire per una guerra che promette onore e semina morte. E cosa c'è dietro questa parola, "onore"? C'è una morte a sangue freddo mentre si è lontani dal conflitto? C'è la bugia di un governo che guarda negli occhi un uomo, gli offre aiuto per trasportare la bara di un figlio - spedito, come fosse un proiettile - in un deserto mortifero. E lo rassicura che, dopotutto, è un sacrificio per la nazione? C'è una bandiera a stelle e strisce, una divisa, o quale altro pezzo di stoffa spiegazzato che fra quarant'anni sarà seppellito in fondo all'oblio della memoria, da tutti tranne da quello a cui una volta appartenne? Forse se lo chiedono Larry, Mueller e Sal, forse no. Tre facce e caratteri gemelli di quelli che appartennero a Jack Nicholson, Randy Quaid e Otis Young ne L’ultima corvé di Hal Ashby: grande estimatore di quest’opera, Richard Linklater se ne è servito per modellare le personalità dei suoi protagonisti.


Last Flag Flying, in effetti, è de L’ultima corvé una sorta di sequel, ma solo su carta: categoricamente si rifiuta sin dall'inizio e dalle premesse (i personaggi non sono gli stessi e hanno, di fatto, nomi diversi) di voler proseguire la narrazione di una storia già compiuta, e preferisce far solo riferimento allo stesso universo per dare origine a storie e rapporti nuovi, ma simili. Il regista statunitense dimostra di aver compreso e fatto suo lo spirito della New Hollywood, sottraendolo del radicale anticonformismo che aveva caratterizzato L’ultima corvé e rileggendolo nella chiave di un film dal tocco minimalista, intimo e pieno di cuore. Richard Linklater, che non è mai stato un osservatore distante, riprende da vicino i suoi personaggi perché soffre e ride con loro, li accompagna, li capisce ed è sempre pronto a tacere quando il silenzio è l'unica risposta possibile. I tre protagonisti compiono un viaggio che li porterà a calare la maschera e a svelare, l'uno all'altro, l'essenza più profonda di un essere umano ricoperto da vecchie cicatrici che fanno ancora male, ma che indossa con la stessa fierezza di un petto fregiato di medaglie.


C'è molto, tutto il possibile, in Last Flag Flying, tranne una magniloquenza che non troverebbe respiro nell'affresco di una nazione fallita e mummificata sotto ricordi da rendere più belli della verità. C'è l'amaro ritratto di un'America menefreghista e imperialista che, da sempre, in Vietnam e in Iraq, colleziona salme come fossero eroi, ma a cui si regala fiducia come a un genitore che non può commettere errori, che merita ancora un'ultima chance. Perché il film di Linklater è anche un film di padri e figli, che si perdono e si ritrovano, che si vedono per la prima volta, che si riconoscono in uno straniero o che si abbandonano per sempre, ma con cui è possibile ritrovare un'armonia finale. Nonostante il silenzio.


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