Già vincitore del Leone d’oro a Venezia nel 2014 con Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza, Roy Andersson torna in sala con Sulla infinitezza (About endlessness): di nuovo un titolo che promette di dare molto allo spettatore, ma che molto anche gli chiede, compresa una dose di ironia supplementare a quella del suo autore.

Un prete in crisi di vocazione sogna di venire crocifisso, si ubriaca prima della funzione, si dispera perché non sa più cosa vuole.
Prima e dopo, tanti altri piccoli quadri di vita quotidiana, piani sequenza di alcuni minuti su un bizzarro microcosmo umano: un uomo ricorda con livore una sua vecchia conoscenza, un altro resta in panne con la macchina, una coppia guarda un panorama, tre ragazze improvvisano un ballo in mezzo alla strada, un uomo ha appena ucciso sua figlia, Adolf Hitler rientra nel suo bunker. A scandire gli episodi una voce fuori campo, che come in una fiaba (più grigia che nera) riprende sempre lo stesso «Ho visto un…».

Cinema contemplativo dove la forma è la sostanza, con immagini animate che assomigliano più ad un dipinto, come Sopra la città di Chagall della scena iniziale, o a una fotografia, come quelle di Gregory Crewdson.
Sotto una luce da studio dentistico (che poi nel film compare davvero), si muove - molto poco - una umanità devitalizzata, che sembra fatta più di statue di cera che di persone reali; a dirigerla una sorta di “ordine nordico” che stilizza tutto, dagli ambienti ai personaggi, sentimenti compresi. È un mondo che può ricordare quello di Delicatessen (di Jean-Pierre Jeunet, lo stesso de Il favoloso mondo di Amélie), ma spostato tutto nel nord più estremo.
Una umanità iperreale e quasi immobile, sorpresa dentro un bar con la neve che cade alle finestre, o in un mercato del pesce davanti a un vecchio che impazzisce per amore.
Svedese classe 1943, Roy Andersson esordiva in verità ben prima di un paio di autori a lui vicini, non solo geograficamente: Aki Kaurismaki e Lars Von Trier. Del primo si ritrova la staticità teatrale unita ad una ironia, tutta scandinava, distante come poche dalla nostra; del secondo il gusto pittorico e una attenzione per angosce ancestrali, come in Melancholia.
Andersson è firma originale di film d’arte per eccellenza, capaci in effetti di entusiasmare le platee dei Festival, e addirittura il MoMA di New York. Non un caso, essendo un cinema affine alla performance o alla videoarte, perché frammentario, allegorico, visivamente potente: caratteri in comune anche con il cinema delle cosiddette nuove onde, quella greca in testa a tutte.

Ma una volta svelate le regole del gioco, che in precedenza avevano funzionato a meraviglia, l’effetto sorpresa viene a mancare insieme alla magia. Improponibile la versione doppiata, che intralcia il sonoro e soprattutto la naturale musicalità “fiabesca” della lingua svedese. E nonostante la previdente durata di soli 76 minuti, il rischio abbiocco resta alto.

Genere: commedia, grottesco
Titolo originale: Om det oändliga
Paese, Anno: Germania/Norvegia/Svezia, 2019
Regia: Roy Andersson
Sceneggiatura: Roy Andersson
Fotografia: Gergely Pelos
Montaggio: Johan Carlsson, Kalle Boman, Roy Andersson
Interpreti: Anders Hellström, Bengt Bergius, Jan-Eje Ferling, Martin Serner, Tatiana Delaunay, Thore Flygel
Produzione: 4 1⁄2 Fiksjon, Essential Films, Roy Andersson Film Produktion
Distribuzione: Wanted Cinema
Durata: 76'
Data di uscita: 27 05 2021