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La storia fantastica, le favole e il fascino dei cantastorie: se il Natale fosse un film

29/12/2018 14:37

Marco Filipazzi

Speciale Natale, Film Avventura, Film Fantasy, Film Family,

La storia fantastica, le favole e il fascino dei cantastorie: se il Natale fosse un film

L'indimenticabile fantasy del 1987, diretto da Rob Reiner: una storia epica, fatta di sentimenti e grandi personaggi

L'indimenticabile fantasy del 1987, diretto da Rob Reiner: una storia epica, fatta di sentimenti e grandi personaggi

Certi film sono come macchine del tempo a cui leghiamo sensazioni e sentimenti, a seconda del momento della nostra vita in cui li vediamo. Ebbene, da questo punto di vista La storia fantastica è per me uno di quelli più carichi di emozioni.

 

Innanzitutto, mi ricorda mio nonno. Mio nonno morì quando avevo 8 anni. Ma, nonostante ciò, considerando il poco tempo che abbiamo trascorso insieme, ho una quantità impressionante di ricordi legati a lui. Le passeggiate al parco con il nostro cane, la pista dei trenini costruita da lui, il fatto che mi allungasse sempre mezzo dito di vino nel bicchiere. O quando, semplicemente, stavamo seduti in poltrona a vedere Bim Bum Bam.

Mio nonno era un cantastorie: amava raccontare aneddoti della sua vita (spesso di quando era in Africa durante la guerra) imprimendoli di una nota surreale, al punto che era quasi impossibile scorgere il confine tra realtà e fantasia. Un mix che compresi solo in età più matura, quando vidi Big Fish di Tim Burton e associai la figura di Edward Bloom a quella di mio nonno: facevano la stessa cosa, coloravano la realtà con tinte impossibili per far apparire il mondo un posto migliore. Di questo gli sarò eternamente grato. Tra tutte quelle che raccontava ce n’era una a cui era particolarmente affezionato, una sorta di sua interpretazione di Pinocchio. Si intitolava El Giuanin de fer (letteralmente Giovannino di ferro): la storia di un meccanico che, non potendo avere figli, costruisce un bambino di latta che prende vita. «Marco, ven chi che te cunti del Giuanin de fer»: mi chiamava a sé e io, anche se quella storia l’avevo sentita sino alla saturazione, obbedivo.

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La prima volta che vidi La storia fantastica mio nonno già se n’era andato da qualche anno, eppure ebbi la sensazione che fosse ancora accanto a me. Perché al di là della vicenda di Bottondoro e del garzone Westley, il film racconta di un nonno premuroso che va a trovare il nipote malato, si siede accanto al suo letto e gli legge una storia.

Da sempre dicembre per me è un mese particolare, che vede a distanza di pochi giorni il mio compleanno e Natale. Nel 2013 però quei giorni assunsero un carattere ancor più speciale: fu il mio primo dicembre da sposato, in una casa che non fosse quella in cui ero nato e cresciuto, con una persona accanto che sarebbe diventata la mia costante in tutti i Natale a venire.

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Ricordo che era l’inizio di dicembre, perchè in quei giorni discutevamo su quando fare l’albero: lei, ansiosa di tuffarsi nei preparativi; io, più tradizionalista, da buon milanese volevo attendere Sant’Ambrogio. Giungemmo a un compromesso e addobbammo insieme per la prima volta casa nostra nei primi giorni del mese. Dopo cena, quando ci sedemmo sul divano con le luci dell’albero che avvolgevano calde il salotto, posi la fatidica domanda a mia moglie: «Che cosa guardiamo stasera?». «Vediamo qualcosa di natalizio!», rispose lei. E così le proposi La storia fantastica. «Se è come La storia infinita, mi piace!», disse lei. «È meglio de La storia infinita risposi io, ed è una cosa che ho sempre pensato.

Scoprii La storia fantastica da bambino, quando comunque già conoscevo quella Infinita di Wolfgang Petersen, affascinato dalle pubblicità trasmesse in TV. Credo che sia stata in assoluto una delle VHS che vidi di più: era perennemente dentro il vidoregistratore, al punto che il nastro si consumò, l’audio singhiozzava e delle spruzzate di nebbia statica apparivano su alcune scene. Ho rivisto il film pochi giorni fa, con mia moglie; non lo vedevo da quella serata natalizia del 2013 e ancora posso affermare che non ha perso un’oncia del suo fascino.

Una storia epica, non per la messa in scena monumentale (è facile intuire che il budget non fosse proprio faraonico) ma per i sentimenti e i personaggi che mette in scena. L’albino, l’uomo con sei dita, Max dei miracoli e poi ovviamente il Gigante, lo Spadaccino, il siciliano imbroglione, il pirata Roberts; tutti questi personaggi sono caratterizzati con pochi tratti eppure ognuno di essi appare incisivo, avvincente, vissuto.

E poi c’è la storia d’amore tra Westley e Bottondoro che deve letteralmente superare mille ostacoli prima di poter finalmente fiorire, il tutto ambientato in un mondo che è il nostro (vengono nominati la Sicilia, la Spagna, la Groenlandia) eppure è anche fantasy, nelle acque infestate da anguille urlatrici o nella palude del fuoco.

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Un film d’altri tempi, fatto di sentimenti che non sempre sfociano nel buonismo (penso al duello “all’ultimo pezzo”) eppure risultato sempre autentici e cristallini. Come quelli di un bambino che si ricorda di suo nonno che gli raccontava storie o quelli di un uomo adulto che guarda una storia d’amore abbracciato a sua moglie sul divano di casa, durante le feste di Natale.

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