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Alex Rider (2020), stagione 1: la recensione della serie tv sulla spia di Anthony Horowitz

20/11/2020 11:20

Alfredo De Vincenzo

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Alex Rider (2020), stagione 1: la recensione della serie tv sulla spia di Anthony Horowitz

La nuova serie tv di spy di Prime Video

La spia teenager Alex Rider, protagonista dei romanzi di Anthony Horowitz, aveva già avuto nel 2006 una prima trasposizione cinematografica: 14 anni dopo torna protagonista della nuova serie di Amazon Prime Video 

Alex Rider, una spia teenager del MI6, è il protagonista di ben 13 romanzi di Anthony Horowitz. Il suo personaggio aveva visto nel 2006 una prima trasposizione cinematografica. A pensarci bene, con le sue avventure, ben si sposava con il mondo del cinema: tanto che il film, Alex Rider: Stormbreaker, diretto dal semi sconosciuto Geoffry Sax, aveva una sceneggiatura scritta proprio da Anthony Horowitz e un cast di tutto rispetto che comprendeva Ewan McGregor e Mickey Rourke.

Tuttavia il film è un flop su più fronti e per diversi motivi: da un lato la scarsa distribuzione negli USA porta inevitabilmente a una scarsa visibilità; dall’altro il film non regge le enormi aspettative, anche perché l’Inghilterra è il paese di James Bond, la spia per eccellenza. Così Alex Rider finisce in un tripudio di momenti trash con poco, pochissimo, senso logico. Quello che sarebbe dovuto essere l’inizio di un franchiste cinematografico, praticamente si suicida sul nascere.

 

A distanza di 14 anni Amazon Prime Video decide di realizzare una nuova trasposizione del romanzo, questa volta sfruttando il concept della serie tv per entrare meglio nella storia. E il risultato, questa volta, non è niente male.

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Di che cosa parla Alex Rider, serie tv Amazon

La storia è quella del primo, mescolata al secondo, dei 13 romanzi: Alex Rider (Otto Farrant) vede la sua vita da teenager sconvolta dalla morte dello zio e dalla scoperta che questi altro non era che una spia del governo Inglese che stava indagando su una strana scuola per adolescenti, Point Blanc. Alex viene reclutato dal MI6 per entrare sotto copertura in questa scuola elitaria e scoprire cosa succede, dando il via a una serie di avventure e scoperte.

 

Il timore, guardando il film del 2006 e leggendo i romanzi stessi, era che anche la serie potesse virare nettamente sul genere teen con tutti i rischi annessi. Invece Alex Rider questa volta prende una strada diversa, creando atmosfere profondamente dark, specie all’interno di Point Blanc, inserendo i cliché teen (interesse amoroso, amico nerd, ballo scolastico) in piccole e ben posizionate sequenze.

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Alex Rider è un mix di generi e atmosfere

Point Blanc è un posto austero che sembra uscito dal comunismo sovietico o da un film di David Fincher, in cui tuttavia si parla di Hitler e della “razza perfetta”. Le atmosfere inquietanti e claustrofobiche sono dovute in gran parte al lavoro dei due registi, l'austriaco Andreas Prochaska e l'inglese Christopher Smith, entrambi provenienti dall’horror: il primo è autore di Sms: 3 Giorni e 6 morto, il secondo ha realizzato Black Dead - Viaggio all’inferno

 

Anche la scelta di inserire qua e là riferimenti pop - la maglietta di Hattori Hanzo (Kill Bill), il poster di Baby Driver, i discorsi sui film di Kurosawa, l’iPod con i New Kids on the Block - sembrano dosate sempre con sapienza e mai esagerate. Altro aspetto da sottolineare è la colonna sonora in cui si affiancano pezzi sfacciatamente pop a artisti come i Cage the Elephant, gli IDLES o i The Vaccines. Anche in questo caso è bene notare come la serie riesca a muoversi su più fronti in maniera piuttosto saggia, ottenendo come risultato un prodotto non totalmente pop e nemmeno eccessivamente di nicchia.

Arrivati a questo punto, come sempre, c’è un “ma”. Le atmosfere quasi horror di Point Blanc mescolate allo Spy Movie più classico, le musiche pop alternate al rock (anche estremo in un paio di occasioni), i cliché dello young adult insieme a un linguaggio più maturo non sempre funzionano. Durante tutte le 8 puntate, e maggiormente nelle ultime due, vengono fuori tanti limiti di sceneggiatura e una scarsa originalità narrativa. 

I problemi di sceneggiatura

Non me ne vogliano Anthony Horowitz e i suoi fan, ma il problema di Alex Rider è proprio la storia. E non è una questione di gusti: tante soluzioni sono totalmente inverosimili per un soggetto che si propone come un giovane James Bond. Le soluzioni adottate per risolvere certe situazioni sono quantomeno discutibili.

In alcuni momenti l’ottima struttura registica sembra crollare su sé stessa e l’equilibrio tra ritmo e suspense finisce col perdersi. Anche se la bravura dei due registi sta nel riuscire subito a riequilibrare la situazione mettendo delle piccole toppe laddove i buchi di trama rischiavano di allargarsi troppo. 

 

Anche le sorti di alcuni personaggi sembrano lasciate al caso, magari volutamente per una seconda stagione, con il risultato di apparire poco efficaci ai fini della storia stessa. Altro difetto evidente è la mancanza, almeno per ora, di un villain degno di tale nome: proprio come gli ultimi film di James Bond insegnano (Javier Bardem in Skyfall, Mads Mikkelsen in Casino Royale, Christoph Waltz in Spectre), un antagonista capace di bucare lo schermo, ponendosi come nemesi del protagonista, vale almeno metà della storia. In Alex Rider i cattivi sono a malapena accennati e quasi non si ricordano.

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Nel complesso Alex Rider è un prodotto discreto, che riesce a essere intrigante e piacevole allo stesso tempo, anche senza le vette di complessità a cui si è abituati nello spy-thriller. Allo stesso tempo, però, ha grossi limiti. Sarà importante capire con la seconda stagione, già confermata, se questi dubbi possano essere superati o se alla lunga prenderanno il sopravvento.

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